Legge sulla rappresentanza: non si può più aspettare

lavoratore saldatore

E’ sempre più facile criticare che proporre. Questo antico detto popolare si adatta benissimo alla situazione in cui versa la rappresentanza sindacale nel nostro paese. Le critiche alla rappresentanza sindacale sono legate alla percezione di una gestione poco efficace, alla mancanza di trasparenza e alla difficoltà di raggiungere obiettivi concreti.
La rappresentanza sindacale in Italia è talvolta vista dai critici come troppo rigida e legata a procedure formali, piuttosto che ad un approccio flessibile e proattivo.
Alcuni lavoratori ritengono che le rappresentanze sindacali non comunichino in modo efficace le loro attività e i loro risultati, o che non siano sufficientemente trasparenti riguardo alle decisioni prese.
Si può dubitare se le rappresentanze sindacali siano davvero rappresentative di tutti i lavoratori, soprattutto in aziende con molte categorie diverse o in presenza di lavoratori precari e che le rappresentanze sindacali si concentrino troppo sugli interessi di alcuni gruppi di lavoratori, trascurando le esigenze di altri.
Soprattutto nei giovani lavoratori c’è la percezione di una scarsa efficacia nella gestione delle vertenze e dei conflitti e di non essere al passo con i cambiamenti.
Si può sostenere che le rappresentanze sindacali siano poco attente ai cambiamenti nel mondo del lavoro, come l’aumento del lavoro agile o l’utilizzo di nuove tecnologie.
Ma ai detrattori del sindacato modello anni ottanta c’è da dire che la rigidità delle procedure, la mancanza di flessibilità e la difficoltà a raggiungere decisioni rapide dipendono da come è ingessato il modello di rappresentanza sindacale nelle nostre norme o meglio in assenza di norme puntuali.

È importante sottolineare che queste critiche non sono sempre giustificate e che le rappresentanze sindacali svolgono un ruolo importante nella tutela dei diritti dei lavoratori e nella promozione del dialogo sociale e seppur le rappresentanze sindacali potrebbero migliorare la propria efficienza, comunicazione e trasparenza per rispondere meglio alle esigenze dei lavoratori e ai cambiamenti nel mondo del lavoro ciò che manca è una riforma della rappresentanza sindacale.
Il tema della misurazione della rappresentanza e rappresentatività delle Organizzazioni sindacali è da tempo al centro di dibattiti e proposte di legge che si sono succedute nel tempo. Misurare quanti lavoratori si iscrivono ai sindacati sarebbe utile per capire, quando la trattativa si apre, la vera rappresentatività delle parti (il ragionamento vale anche per le rappresentanze delle imprese). Tale misurazione, unita a un rafforzamento dell’attività dell’Ispettorato del Lavoro, costituisce il sostegno alla lotta contro il fenomeno del dumping contrattuale che, attraverso CCNL sottoscritti da Organizzazioni sindacali e datoriali privi di rappresentanza, abbassano diritti, tutele e salario delle lavoratrici e dei lavoratori. Approdando per questa via si arriverebbe anche all’attribuzione del valore Erga Omnes ai CCNL sottoscritti dalle Organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente rappresentative.

Il percorso iniziato nel 2014 con la sottoscrizione tra alcune sigle sindacali con Confindustria sulla rappresentanza è ad oggi in uno stato avanzato di attuazione che sta dimostrando come il sistema di misurazione e certificazione della rappresentanza possa essere portato a compimento in un quadro di regole volto alla certezza, trasparenza e terzietà. UIL, Cgil, Cisl e Confindustria ha concordato che ci sono i presupposti perché possa essere realizzata la prima certificazione del dato della rappresentanza sindacale, per i due CCNL (metalmeccanico e chimico-farmaceutico) che hanno lo storico del dato sulla rappresentanza, essendo passati per la fase sperimentale di raccolta sia del dato associativo che di quello elettorale, si è vicini a procedere ad una eventuale pubblicizzazione degli stessi.
A tal fine si potrebbe operare, portando a sistema, sui due parametri presi a riferimento per la misurazione e certificazione, e quindi da un lato arrivare ad una previsione che contenga l’obbligatorietà per le aziende di comunicare gli iscritti al sindacato, dall’altro aggiornare la normativa sulla rappresentanza sindacale dando la possibilità di svolgere le elezioni telematiche delle RSU, favorendone il rinnovo, e di estendere la presenza della stessa anche in realtà di piccole dimensioni.
È necessario inoltre raggiungere il medesimo livello di realizzazioni degli Accordi Interconfederali sulla rappresentanza per quanto riguarda tutti gli altri settori riprendendo un percorso di relazioni con le Associazioni di imprese.
Questo per vincolare tutte le parti contraenti al rispetto e alla puntuale applicazione degli accordi, evitando allo stesso tempo di ingessare eccessivamente procedure che devono poter cogliere un sistema di relazioni sindacali, come è quello del nostro Paese, vario e multiforme che assume specifici connotati a seconda dei diversi settori merceologici, della natura giuridica dei rapporti di lavoro e delle diverse tipologie di aziende. Una norma di legge, seppur di sostegno all’attività delle Parti Sociali, deve necessariamente tener conto della necessità di misurare anche la rappresentanza delle Organizzazioni datoriali al fine di offrire un quadro normativo di riferimento che possa dare concreta attuazione ai rimandi costituzionali in merito e sconfiggere il fenomeno del dumping contrattuale.
Cosa manca?
Manca il coraggio politico di una scelta lungimirante
che vada contro i piccoli sindacati ombra, le compagini create per raccogliere iscritti firmare un contratto (a volte al ribasso per sicurezza e retribuzioni) e poi scomparire (porto ad esempio il contratto dei call center firmato da Assocontact). Un intervento politico che legiferi, non solo prevedendo strumenti di verifica dell’effettiva rappresentatività delle associazioni sindacali ma anche per garantire alle associazioni dissenzienti l’esercizio dei diritti sindacali in azienda, specie se queste “attraverso una concreta, genuina ed incisiva azione sindacale pervengano a significativi livelli di reale consenso”, seguendo così il monito già lanciato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 30/1990.

Secondo il Testo unico sulla rappresentanza, i contratti nazionali stipulati da associazioni che rappresentano oltre il 50% dei lavoratori debbano essere considerati come contratti di riferimento per il settore. In tal caso, non avrebbe legittimità circa il 75% dei contratti registrati al CNEL.
Il problema è che al momento nessuno sembra obbligato a rispettare alcunché. Le relazioni industriali e sindacali sono infiltrate da organizzazioni pirata, non rappresentative, che fanno spesso saltare il sistema. Di fatto se ora un’associazione di imprese e un sindacato, a prescindere da quanti iscritti hanno, sottoscrivono un contratto collettivo, quel contratto si può applicare nella propria azienda, anche in deroga ad un contratto collettivo per la stessa categoria di lavoratori.