Caro energia: quanto costa al sistema Italia

I rincari dei prezzi energetici, registrati già a partire dal 2021 a seguito della ripresa ciclica post pandemica e accentuatisi notevolmente in seguito all’invasione dell’Ucraina del 2022, costituiscono un elemento di forte rischio per l’operatività delle imprese italiane.
Ad oggi, sebbene sia difficile formulare precise valutazioni quantitative sugli effetti di tale shock, è ragionevole presumere un impatto eterogeneo sui margini di profitto delle imprese causa dell’interazione di numerosi fattori. In primo luogo appare rilevante il mix energetico utilizzato dalle imprese nei processi produttivi, strettamente legato alle caratteristiche tecnologiche prevalenti per la produzione di beni e servizi: alla luce degli andamenti di prezzo molto eterogenei, con incrementi enormi per il gas naturale e l’elettricità, più contenuti, seppur considerevoli, per benzina, gasolio, olii combustibili, l’impatto complessivo dei rincari sulle singole imprese dipenderà in larga misura dal grado di utilizzo relativo delle diverse fonti.
In secondo luogo, risulterà cruciale la capacità (o la possibilità) individuale di trasferire a valle, sui prezzi di vendita, la crescita dei costi. Il perdurare nei prossimi mesi di livelli dei prezzi energetici così elevati determinerebbe l’accentuazione dei rischi, già oggi osservabili, sulla redditività, costituendo un elemento di forte preoccupazione per la tenuta del sistema produttivo e dell’occupazione.
ISTAT ha fornito una prima stima del numero di imprese che potrebbero registrare margini di profitto negativi a seguito degli incrementi dei costi energetici. Utilizzando i dati disponibili sulla struttura dei costi e sui ricavi delle imprese relativi al 2019, è stato realizzato un esercizio di tipo controfattuale confrontando la distribuzione dei margini delle imprese al 2019 con quella che si sarebbe ottenuta nello stesso anno ipotizzando un aumento dei costi energetici pari a quello realmente osservato tra il 2019 e 2022.
La simulazione considera la modifica dei soli prezzi dei beni energetici, a parità di altre condizioni. Non si prendono quindi in considerazione tutti gli effetti indiretti che tali aumenti possono determinare su altre voci di costo (quali acquisti di altri beni intermedi o finali), né la possibilità da parte delle imprese di trasferire i rincari sui prezzi degli output.
In assenza di un’adeguata disaggregazione delle voci di conto economico a livello d’impresa, la quantificazione del peso delle diverse fonti energetiche sui costi intermedi individuali viene tratta dalle informazioni settoriali. In particolare, per le imprese appartenenti allo stesso settore (con una disaggregazione a due cifre della classificazione Nace Rev. 2), si assume la stessa composizione dei costi energetici sul totale dei costi intermedi del comparto di appartenenza, quest’ultima desumibile dalle tavole Input-Output di Contabilità Nazionale relative al 2019 .
Più in dettaglio, i livelli di spesa per singola fonte energetica vengono calcolati per ciascuna impresa applicando al valore del totale dei costi intermedi, disponibile dall’archivio Frame-Sbs 2019 , la quota di costo dei beni energetici sul totale dei costi intermedi sopra menzionata. I dati in valore vengono poi inflazionati applicando, per singola fonte, le variazioni di prezzo osservate tra il 2019 e il 2022 e riportate nella Tavola 1. Successivamente viene ricalcolato il totale dei costi intermedi per ciascuna impresa e il relativo margine di profitto, rappresentato dal Margine Operativo Lordo (Mol).
In alcune attività la diffusione del fenomeno è considerevole. Nell’industria, è elevata la quota di imprese con margini negativi: dal 57,9% della carta al 41,7% della metallurgia.
Anche nei settori di minore dimensione (coke e raffinati, acqua) la quota di imprese con Mol negativo rappresenterebbe comunque oltre il 50% del totale del comparto. Nel tessile l’incidenza sarebbe notevolmente più bassa (21,2%) ma la quota di addetti delle imprese che registrerebbero profitti negativi appare ragguardevole (41,5%). Quest’ultimo comparto, insieme a quello degli alimentari, inoltre, non risulta tra i primi dieci per peso degli acquisti di materie prime energetiche sui costi intermedi. Nei servizi, i primi 9 settori riportati nella tavola presentano una quota di imprese con Mol negativo inferiore rispetto ai primi 9 comparti industriali; tuttavia l’aspetto occupazionale risulta comunque rilevante (quasi ovunque superiore a un terzo del totale).
Nei limiti dell’esercizio qui proposto, pertanto, anche in un periodo ancora non interessato dai due shock esogeni della pandemia di Covid-19 e dalla invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i fortissimi rincari delle materie prime energetiche avrebbero avuto un impatto esteso e significativo sui margini di profitto delle imprese italiane. In alcuni dei settori industriali nei quali le spese energetiche pesano in misura più elevata sui costi intermedi, tali aumenti potrebbero rappresentare un serio rischio per la capacità operativa di oltre la metà delle imprese; un fenomeno che non rimarrebbe confinato alle classi delle micro e piccole imprese (rispettivamente 1-9 e 10-49 addetti).