Aprile 24

Rinnovo Contratto Commercio: per USB no a flessibilità e riduzione costi

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Quello di Confcommercio è un attacco alle condizioni di lavoro dei 2milioni 800mila lavoratori e lavoratrici inquadrati con il CCNL Terziario Distribuzione e Servizi di Confcommercio, lo sostiene USB Unione Sindacale di Base in una nota pubblicata sul proprio sito, dove afferma che la proposta di Confcommercio è un affronto all’intelligenza dei lavoratori. La vicepresidente Donatella Prampolini, nel corso della conferenza stampa sui temi del salario minimo in vista delle trattative con i sindacati per il rinnovo del contratto che si è tenuta in data 11.10.2023, ha affermato che la contrattazione salariale non è all’ordine del giorno, aggiungendo che nel settore i salari non sono sotto la soglia “psicologica” dei 9 euro.
Premesso che l’inflazione, il carovita, e l’impoverimento generalizzato non hanno nulla di meramente “ideologico” e che queste contraddizioni che i lavoratori vivono quotidianamente non possono essere superate con elementi meramente “psicologici”, la cosa ulteriormente grave nelle parole della Prampolini, secondo USB, è il falso assunto sulla cifra minima indicata.
Secondo il sindacato di base Confcommercio mente quando dichiara che è già garantito un salario minimo di 9 euro a partire dall’ultimo livello, perché invece si aggira sulla cifra di 7.64 euro. È gravissimo per USB che non si tenga conto dei costi indiretti che riducono il potere di acquisto di un salario largamente inferiore alla media europea.
In Italia i profitti delle imprese continuano a crescere perché l’attuale contrattazione collettiva consente di risparmiare sul costo del lavoro, questo significa che le aziende iniziano a guadagnare già nella fase produttiva non garantendo un giusto salario a chi produce la loro ricchezza.
Per USB occorre ricordare che ad ogni rinnovo del contratto di settore ai lavoratori e alle lavoratrici è stato tolto un pezzo di dignità: decurtazione progressiva dell’indennità sulla malattia fino all’azzeramento totale dei primi 3 giorni, lavoro domenicale ormai ordinario, vacanza contrattuale e aumenti risibili se non ci fosse da piangere. Con questo quadro normativo, poi, la fanno da padrone le realtà singole dove la liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura rende impraticabile la conciliazione della vita con il lavoro – non a caso è in questo settore che si registra un numero preoccupante di dimissioni per disperazione – perché si lavora tutti i giorni, tutte le domeniche, tutti i festivi, spesso fino alle 22 se non oltre.

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