Ottobre 24

IO, UMANO

Tomas Chamorro-Premuzic

Apogeo

Pag.146, € 20.00

Perché leggerlo: per una maggiore consapevolezza di come l’intelligenza artificiale può rivelarsi una risorsa imprescindibile, in vari ambiti dell’attività umana, e sui i rischi quando ci affidiamo troppo al suo potere rinunciando a quelli propri dell’essere umano.

L’intelligenza artificiale è ovunque. Sessant’anni fa Marshal McLuhan ipotizzava sarebbe diventata “un prolungamento del cervello”. Quel momento è arrivato. Potente e pervasiva, l’AI ridefinisce le nostre relazioni, i nostri valori, i nostri modi di essere e di stare al mondo. Che ce ne rendiamo conto o meno, stiamo tutti guardando la vita attraverso la lente dell’AI. Una trasformazione dirompente e pervasiva che suscita curiosità, paure e smarrimento.

Tomas Chamorro-Premuzic, Professore di Business Psycology alla University College London e alla Columbia University, si chiede cosa significhi essere umani nell’era della AI e in quali altri modi, magari anche migliori, possiamo esprimere l’umanità in questa fase della nostra storia evolutiva. La risposta la troverete in Io, umano, un libro ricco di domande, dubbi e ipotesi illuminanti sui nuovi scenari che la l’AI prospetta. La letteratura sul tema  ormai abbonda. Il suo pregio è nel riuscire a condensare in 146 pagine di piacevole lettura questioni cruciali, senza perdersi in divagazioni o previsioni fantasiose perché: “L’ossessione del futuro, oggi diffusa, rischia di farci trascurare il presente. Partire dall’oggi aiuta invece a comprendere dove siamo e, indirettamente, a riflettere anche su dove stiamo andando”.

La tesi di Chamorro-Premuzic è che il fine dell’AI non è sostituire la competenza umana, semmai rafforzarla. L’AI è stata addestrata per eseguire quello che noi abbiamo più difficoltà a fare, come ad esempio adottare punti di vista diversi, assumere una posizione contraria o esaminare le controdeduzioni nei casi legali. Infondo, diversamente da noi, l’AI non ha nulla da peredere. “Questo la rende un’arma potente per esporre i bias, un vantaggio – sostiene l’autore – di cui si parla raramente”. Ma occorre fare attenzione, l’AI apprende anche dai nostri pregiudizi.

Tuttavia l’eccesso di potere che attribuiamo all’AI non è esente da rischi. Primo fra tutti, quello premiare la velocità nelle decisioni, anziché la ponderazione. Basti pensare alla scarsa meticolosità con cui consumiamo le informazioni. Porre a Google domande importanti riduce la nostra curiosità intellettuale, facendoci accontentare di risposte rapide, semplici, difficili da trattenere, di cui finiamo anche per dimenticare la fonte che le ha originate. E ancora, l’AI è un’arma di distrazione di massa che può minare alcune nostre risorse fondamentali  quali l’apprendimento, l’autocontrollo, soprattutto la pazienza. Conseguenza, finiamo per rinunciare all’accuratezza dei dati in cambio della velocità. Diamo priorità alle decisioni impulsive a scapito della ponderazione.

La dipendenza dai social  promuove il narcisismo digitale “Come fossimo ipnotizzati dall’AI, posseduti dal flusso di informazioni, immersi in un oceano di distrazioni digitali. Assenti e separati dalla nostra esistenza fisica, tanto da rendere il metaverso meno futuristico di quanto immaginassimo”. Le nostre vite offline sono fuori fuoco, il che avrà conseguenze anche sulla nostra capacità di riflettere seriamente su aspetti politici e sociali importanti, come se il nostro cervello fosse sedato intellettualmente dall’AI. E che dire della perdita di significato delle informazioni che assorbiamo o immettiamo nella rete? Possiamo scorrere il feed di Istagram, ma quanto significato reale possiamo estrarre da quelle esperienze? Meno di zero. “Ogni minuto trascorso on line è progettato per standardizzare i nostri comportamenti, conformandoci ad una sintassi algoritmica che elimina le differenze fra le persone, rendendoci più prevedibili nei comportamenti”. Altra domanda sollevata da Chamorro-Premuzic, “l’AI è più curiosa degli esseri umani?”.

Il paradosso è che “Quante più domande gli poniamo, tanto più Google diventa intelligente. Mentre noi finiamo col diventare più stupidi, perché le risposte immediate riducono la nostra curiosità e la motivazione a cercare altri dati, a scavare oltre la superficie di quanto restituito da Google, a memorizzare quanto appreso. Paradossalmente, mentre aiutiamo l’AI ad aggiornare le sue conoscenze, finiamo per declassare noi stessi. Questi alcuni dei rischi di una AI assurta a oracolo. Chamorro-Premuzic invita anche a non sottovalutare le risorse, proprie di noi esseri umani, che ci fanno fare un salto di qualità rispetto alle macchine. L’AI, ad esempio, può fare previsioni, ma raramente queste si traducono in comprensione. Una previsione che non dà conto delle motivazioni che la sostengono può risultare insufficiente. Il passaggio da che cosa (contenuto) al perché (motivazione)  è un salto di qualità che pertiene all’intelligenza e alla curiosità umana.

Chamorro-Premuzic sostiene anche che c’è più complessità nel comportamento umano di quella che una AI riesce a gestire. E questa è una buona notizia. Perciò “In futuro non aspettiamoci esseri umani “a guida autonoma” conclude. “Finché abbiamo ancora un’anima e la capacità di ascoltarla, possiamo evitare di darci per vinti, cedere e svanire per sempre nell’oblio digitale. Siamo più di un contenitore a emissione di dati e dobbiamo onorare la capacità di amare, piangere, sorridere, perché queste sono ancora qualità intrinsecamente umane”. Io, umano è un invito a non dimenticarlo.

Raul Alvarez – partner INALTO

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