Aprile 24

Sistemi locali del lavoro: la situazione è ferma al Sud

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L’Istat ha diffuso le serie storiche delle stime dei principali aggregati del mercato del lavoro – ricostruite dal 2006 al 2021 – per i 610 Sistemi locali identificati sul territorio nazionale (SLL). L’analisi si focalizza sugli ultimi due anni della serie e sull’impatto, a livello locale, dell’emergenza sanitaria da COVID-19 sul mercato del lavoro.
I Sistemi Locali del Lavoro SLL sono aggregazioni di comuni, definite non sulla base dei i confini amministrativi bensì tenendo conto dei flussi di pendolarismo al loro interno.
Nell’anno 2021, ordinando i SLL per valori crescenti del tasso di occupazione e dividendoli in quattro gruppi, il quarto con i valori più elevati è composto da 86 SLL del Nord-est, 50 del Nord-ovest e 15 del Centro; non è presente alcun SLL del Mezzogiorno.
Se i SLL vengono ordinati per valori crescenti del tasso di disoccupazione, il quarto con i livelli più bassi include 96 SLL nel Nord-est, 43 nel Nord-ovest, 13 nel Centro e solo due nel Mezzogiorno. La dinamica osservata tra il 2019 e il 2020 mostra una generalizzata diminuzione dell’occupazione (una variazione negativa si registra in 608 SLL su 610) mentre nel 2021 si registra una diffusa ripresa dell’occupazione (in 510 SLL su 610) che, tuttavia, non è stata sufficiente a colmare le perdite dell’anno precedente. Rispetto al 2019, nel 2021 l’occupazione risulta infatti ancora in calo nel 38,1% dei SLL del Centro, nel 24,4% dei SLL del Nord-est e nell’11,3% del Nord-ovest, mentre nel Mezzogiorno il 93,2% dei SLL ha registrato una dinamica positiva.


La riattivazione del mercato del lavoro nel 2021 si lega anche al diffuso aumento della disoccupazione, osservato in 348 SLL (il 65% del totale). Tra il 2019 e il 2020, infatti, ben 521 SLL avevano registrato una variazione negativa della disoccupazione per effetto delle restrizioni imposte dalla pandemia che hanno limitato la ricerca attiva di lavoro.
Nel 2021 solamente 42 SLL (la maggior parte nel Mezzogiorno) sono ritornati ai livelli di occupazione pre-pandemia: 16 del Made in Italy (di cui 11 dell’Agro-alimentare), tre della Manifattura pesante, sei dell’Industria non manifatturiera e 17 senza specializzazione.
Una rappresentazione così dettagliata consente di ricavare indicazioni sull’eterogeneità del mercato del lavoro in Italia, sulla natura a ‘macchia di leopardo’ dei diversi contesti economici e su come le relazioni lavorative definiscano spazi socio-economici non necessariamente coincidenti con quelli amministrativi.
La prima misura del divario territoriale nel mercato del lavoro italiano è senz’altro quella riferita al differente tasso di occupazione che caratterizza il Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno: nel Centro-Nord è occupato il 48,8% dei residenti con almeno 15 anni di età; nel Mezzogiorno la quota scende al 34,4%. Differenze molto marcate si osservano anche per il tasso di disoccupazione: nel Centro-Nord il 6,7% della forza lavoro è in cerca di occupazione contro il 16,4% del Mezzogiorno.


I divari territoriali del nostro Paese si confermano quando si scende a livello dei sistemi locali del lavoro: ordinando questi ultimi per valori crescenti del tasso di occupazione e del tasso di disoccupazione e individuando i quartili delle rispettive distribuzioni, si osserva come i sistemi locali del Nord – in particolare del Nord-est – si concentrano nell’ultimo quarto della distribuzione per livello del tasso di occupazione (quello con i valori più elevati) mentre si collocano soprattutto nel primo se si considera il tasso di disoccupazione (quello con i valori più bassi); l’evidenza opposta caratterizza i sistemi locali del Mezzogiorno.

Fonte: Infoquadri su dati ISTAT

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