Aprile 24

Quota 41: è davvero l’unica strada per riformare le pensioni?

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Il governo Meloni sembra puntare tutto su Quota 41 per risolvere il nodo pensioni, ne parla ai sindacati e alle parti datoriali, ne parla ai propri ministri. Nei giorni scorsi la ministra del Lavoro Calderone ha detto che quella in discussione è una ipotesi più che percorribile, definendo il numero 41 “un punto di riferimento”. Vero è che con la decisione di utilizzare larga parte dei fondi destinati alla legge di Bilancio per contrastare il caro energia, per le altre misure restano solo le briciole. Certo, ne abbiamo scritto più volte i articoli su Infoquadri, una riforma organica delle pensioni dovrebbe essere di più di una misura temporanea per evitare lo scalone previdenziale a cui si andrà incontro dal 1 gennaio 2023, Tuttavia la discussione verte molto sulla quota 41 e il ministro del lavoro Calderone si é esposto, dicendosi anche pro alla quota 41, come idea di base, come riferimento da cui partire, ma asserendo altresì come non possa più bastare una sola misura in questo momento storico. Le sue affermazioni unite alle nostre fonti all’interno degli uffici che stanno lavorando alle ipotesi di provvedimento ci consentono di pubblicare uno stato dell’arte molto veritiero.
Il numero magico è “quota 41” per almeno sei dei ministri del governo Meloni, come anche la conferma dell’Ape sociale e dell’Opzione donna. La norma allo studio dovrebbe poi contenere tutele maggiori per le donne e l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Se Tutti si dicono favorevoli su mitigare gli effetti della riforma Fornero e sull’evitare l’uscita dai 67 anni, dal 1 gennaio 2023, tutti sono anche d’accordo (sindacati per primi) sul fatto che le misure scelte dal Governo non vadano a peggiorare le situazioni attuali o non comportino penalizzazioni troppo onerose.
Quota 100, sulla scorta dei dati elaborati dallo stesso ministero del lavoro, ha favorito solo alcuni (ed in prevalenza statali) ma non ha generato quella flessibilità in uscita che ci si aspettava per i range di età e i contributi che alla fine sono serviti. Il vero problema è se dare al lavoratore la possibilità di poter scegliere, come molti anche nel governo vorrebbero o se ingabbiare in un sistema complesso di calcoli per soglie a cui corrispondono penalizzazioni dell’assegno pensionistico. Altro tema delicato sono gli incentivi per gli over 63. I nostri lettori ci scrivono favorevoli a restare più a lungo al lavoro, soprattutto nel settore privato che garantisce una maggiore possibilità di impiego per chi ha esperienza e competenze, ma nel pubblico impego ci potrtebbero essere incentivi a rimanere in servizio specie per alcune categorie, si pensi ai medici o al personale sanitario in generale, al fine, lo si comprende bene, di evitare una fuga in massa. E’ pronto anche il nome “Bonus Pensione” ecco cosa è scritto in alto nel dossier a cui stanno lavorando i tecnici del ministero dell’Economia e riguarda chi ha più di 63 anni e dunque sarebbe prossimo all’uscita dal mondo del lavoro ma, senza un intervento del Governo, dopo il 31 dicembre sarebbe interessato dal ritorno alla legge Fornero, quindi dovrebbe continuare a lavorare fino a 67 anni. L’idea è quella di incentivare la permanenza, per evitare un’uscita anticipata con Quota 100 (che lo scorso anno è diventata Quota 102) ma a fronte di uno sgravio fiscale per le aziende datrici di lavoro. Il piano prevederebbe l’uscita dal lavoro a 64 anni con 38 di contributi, ma il vicepremier Matteo Salvini sarebbe dell’idea anche di offrire più flessibilità, in particolare con l’uscita a 61 anni e 41 di contributi, utilizzando risorse recuperate dal Reddito di cittadinanza.
L’idea è di anticipare il pensionamento è quindi ad uno stadio di analisi avanzato e non solo per le donne come già avvenuto, ma anche per gli uomini, all’età di 60, 62 anni o addirittura 58 anni, ma ancora non ci sono indicazioni esatte sull’età richiesta per l’uscita dal lavoro che resta una casella bianca. Il grande limite dei ragionamenti che sono stati fino ad ora fatto è la percentuale di decurtazione dell’assegno pensionistico, che sembra certa del 30%. E’ facile ritenere che sia una scelta poco sostenibile di questi tempi, in considerazione del momento economico e del fatto che in termini di assegno pensionistico, si perderebbe molto rispetto a quella che potrebbe essere la pensione con regime ordinario. Ridurre del 30% della pensione rispetto al valore che si sarebbe maturato uscendo dal mondo del lavoro dopo i sette anni previsti dala legge Fornero, è giustificato dai tecnici del ministero con il fatto che i contributi versati sarebbero meno e andrebbero suddivisi in più anni.
Questa ipotesi non piace ai sindacati perchè, anche secondo i calcoli da noi effettuati, il primo cedolino di pensione potrebbe avere un importo addirittura pari alla metà dell’ultimo stipendio per i meccanismi di computo delle poste in uscita. Domana: chi farebbe una scelta del genere, chi rinuncierebbe ad una parte di pensione ad un’età (58-60) in cui ancora sono nelle piene capacità lavorative?

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