Geolocalizzazione dipendenti: Garante dice NO

Il datore di lavoro non può geolocalizzare i dipendenti in smart working. Lo ha affermato il Garante per la privacy nel comminare una sanzione di 50mila euro ad un’azienda che invece attuava questa pratica. L’azienda rilevava la posizione geografica di circa cento dipendenti durante l’attività lavorativa svolta da remoto.
Dall’istruttoria, fa sapere il Garante, è emerso che l’azienda effettuava un monitoraggio dei propri dipendenti per verificare l’esatta corrispondenza tra la posizione geografica in cui si trovavano e l’indirizzo dichiarato nell’accordo individuale di smart working, anche in base a specifiche procedure di controllo mirato. In particolare, in base a tali procedure, il personale, scelto a campione, veniva contattato telefonicamente dall’Ufficio controlli con la richiesta di attivare la geolocalizzazione del pc o dello smartphone, effettuando una timbratura con un’apposita applicazione, e di dichiarare subito dopo, tramite un’e-mail, il luogo in cui in quel preciso momento si trovava fisicamente.
Geolocalizzare un dipendente in smart working è possibile solo a determinate condizioni e con forti limiti, perché tocca diritti fondamentali come la privacy e la libertà del lavoratore.
La geolocalizzazione deve essere necessaria e proporzionata per esigenze organizzative e produttive oppure la tutela del patrimonio aziendale o
sicurezza sul lavoro.
Il datore deve informare per iscritto il lavoratore che viene geolocalizzato su finalità, modalità, durata e strumenti utilizzati e su chi accede ai dati e per quanto tempo.
Nel lavoro da remoto la geolocalizzazione raramente è necessaria, e quindi è difficile da giustificare, il principio è che si valuta il risultato, non il controllo continuo e monitoraggi invasivi possono violare la libertà e la dignità del lavoratore (art. 8 dello Statuto e art. 1 L. 81/2017).