Economia: il 2025 è sempre più nel segno dell’incertezza

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Come sono andati i primi mesi del 2025 per l’Economia mondiale? CI aiuta a capirlo un rapporto stilato da Ceresio Investors a cura di Luca Paolazzi e Chiara Casale. I primi mesi dell’anno hanno portato marosi e minacce di tempesta che hanno scosso la nave dell’economia mondiale che ha avanzato tra i marosi alzati dal tornado Trump. Con saette per ora più verbali che reali, ma che sono bastate a muovere notevolmente i mercati finanziari. In attesa che la nuova politica economica USA si dispieghi in tutte le sue misure concrete, è bene chiedersi se
questa politica possa causare gravi falle al piroscafo.
Qualche guasto può comunque arrivare perché l’incertezza, che è il nemico più pericoloso delle decisioni economiche. Le imprese, infatti, non sapendo ancora quale sarà l’assetto finale di dazi, tariffe e altre assortite barriere agli scambi con l’estero, potrebbero rinviare un po’ di investimenti, facendo mancare domanda e bloccando sul nascere la stentata ripresa manifatturiera. Gli indici che misurano l’incertezza riguardo alla politica economica, e in particolare alle politiche commerciali, sono in aumento rapido, come ha sottolineato
il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, e hanno raggiunto picchi inauditi nei passati sessant’anni, superando i massimi già alti toccati durante il precedente mandato di Trump.

Per fortuna, ci sono altre ottime ragioni che spingono a investire: (in)seguire l’innovazione tecnologica, contrastare il cambiamento climatico e magari aggirare gli ostacoli presenti e futuri al commercio, in un mondo che ormai dalla Grande crisi del 2008-09 ha iniziato ad accorciare le filiere e a regionalizzarsi anche in chiave di amici-nemici (friendshoring).
In teoria sì: se davvero la guerra commerciale da minacciata diventasse agita e prevalesse la legge del taglione, con ritorsioni a raffica. L’ultima volta che ciò accadde correvano gli anni Trenta del secolo scorso e il commercio mondiale precipitò a spirale, colpito alle misure protezionistiche che le diverse nazioni adottarono in risposta alla legge Smoot-Hawley degli USA (giugno 1930). Quella caduta vorticosa è stata magistralmente raffigurata dal famoso grafico a ragnatela di Charles Kindleberger, che ancora oggi si studia nei libri di testo.


È improbabile che ciò riaccada davvero tale e quale. Se non altro perché è chiaro che la stessa economia USA finirebbe in recessione, come ha fatto capire la reazione dei mercati finanziari il 27 gennaio, dopo che Trump aveva annunciato le prime tariffe sull’import dal Canada e dal Messico.
In effetti è soprattutto l’economia americana a continuare a rivelare più forza dell’atteso grazie ai consumi – che continuano a lavorare in coppia con il monte salari reale e ad attingere all’eccesso di risparmio accumulato in pandemia – e agli investimenti in new tech, nonostante i tassi più alti: il PIL nel quarto trimestre è salito del 2,3% annualizzato (dopo il 3,1% e il 3,0% nei due precedenti) e attualmente viaggia al 2,3%. All’opposto l’Euroarea prosegue a dibattersi nelle difficoltà incentrate sulla Germania, dove i segnali restano decisamente negativi nell’industria
La Francia resta in dérapage: l’indicatore composito di produzione dell’indagine PMI ha segnato 47,6 in gennaio, dopo il 47,2 del quarto trimestre, quando il PIL è sceso dello 0,1%