Referendum: al voto informati, cosa dicono i quesiti

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Si avvicina la data in cui i lavoratori italiani saranno chiamati ad esprimersi sui quattro referendum sul lavoro. L’8 e 9 giugno 2025 alle urne non solo per il referendum sulla cittadinanza, ma anche per alcuni quesiti che riguardano il mondo dell’occupazione. I referendum sul lavoro, promossi dalla Cgil, riguardano temi che vanno dalla lotta al precariato fino alla sicurezza, passando per alcuni aspetti che ruotano attorno ai licenziamenti.
Infoquadri continua ad informare i lettori sulle ragioni del SI e NO per una informazione chiara e utile a prendere una decisione di voto.

Il primo quesito dei referendum sul lavoro chiede di abrogare un punto del Jobs Act che riguarda i licenziamenti. A oggi, nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono tornare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo, anche se così è stato dichiarato da un giudice. Inoltre, e questo fa parte del secondo quesito referendario, nelle piccole imprese con meno di 16 dipendenti (che in Italia tocca circa 3 milioni e 700mila persone), in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento. Il quesito in questione chiede di abrogare questo limite, aumentando l’indennizzo in base alla capacità economica dell’azienda, dei carichi familiari e dell’età del lavoratore coinvolto.
Secondo i dati disponibili, sono circa 2 milioni e 300mila i lavoratori che oggi in Italia hanno un contratto a tempo determinato. Al momento questi rapporti di lavoro a termine possono avere all’inizio una durata di 12 mesi “senza una ragione effettiva che giustifichi il lavoro temporaneo” spiegano dal sindacato. Per questo si chiede che venga ripristinato l’obbligo di causali per quei datori di lavoro che decidono di avviare un contratto di questo tipo.

“Vogliamo ripristinare il principio per cui la forma di lavoro normale, la regola insomma, sia il tempo indeterminato salvo eccezioni – ha spiegato in una intervista a Wired il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari – Oggi, nei fatti, questo principio è stato rovesciato. Basti pensare che su 100 assunzioni oltre 80 non sono a tempo indeterminato. È una condizione di precarietà che segna il nostro mercato del lavoro soprattutto per le donne e per i giovani”.
Le morti bianche in Italia sono una strage silenziosa che ogni anno lascia sul campo quasi mille lavoratori che la mattina sono usciti di casa e non sono più tornati. Le denunce annuali di infortunio arrivano alla cifra monstre di 500mila, come riporta il sito della Cgil. Il quesito referendario chiede che si cambino le leggi che “favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche”. Allargare la responsabilità dell’imprenditore committente significa, per i promotori del referendum, “garantire maggiore sicurezza sul lavoro”.
“Con questi referendum vogliamo riportare al centro un’idea di un lavoro stabile, sicuro e giustamente retribuito – prosegue Ferrari – In Italia abbiamo infatti un problema di lavoro povero: 5 milioni e 700 mila lavoratori guadagnano in media non più di 850 euro lordi al mese e altri due milioni non più di 1200 lordi al mese, ovvero si è poveri anche lavorando. Noi cerchiamo su questi punti specifici di rimettere al centro i lavoratori e riportare il lavoro a essere un fattore di emancipazione e di dignità”.
Andare a votare, un dovere civico
Il grosso mostro da sconfiggere per i referendum sul lavoro (ma per tutti i referendum nel nostro paese) è l’astensione. Affinché una consultazione popolare sia valida infatti deve recarsi alle urne la metà degli aventi diritto più uno, così come stabilito dall’articolo 75 della Costituzione. Visti gli scarsissimi risultati in termini di affluenza alle ultime elezioni, per invertire la rotta dell’andamento delle serie storiche dei referendum, dove il quorum si è allontanato sempre più (rispetto alle grandi battaglie degli anni ’70), secondo i promotori diventa cruciale una giusta comunicazione ai cittadini dei contenuti delle proposte: “Ci rivolgiamo soprattutto ai giovani, visto che dal 2011 a oggi oltre 500 mila di loro hanno lasciato il nostro paese per cercare condizioni di lavoro migliori: è come se una città come Genova fosse scomparsa in meno di 15 anni – conclude Ferrari – Votando questi referendum non viene data nessuna delega a questo o quel partito, è come se ciascuno di noi diventasse un parlamentare e avesse il potere di cambiare le cose dal giorno dopo. Purtroppo la comunicazione di questa campagna referendaria da parte del servizio pubblico, finanziato dai contribuenti, è partita male, non vediamo la giusta attenzione, tranne qualche comunicazione informale sulle date. Per questo abbiamo organizzato il prossimo 23 aprile un presidio sotto la sede della Rai, per chiedere che vengano messi i cittadini nelle condizioni di approfondire i quesiti e capire la posta in gioco”.