Pensioni: sempre più tardi, sempre meno valore

I dati dei rapporti di INPS riportano che dal 2021, dalla sparizione di quota 100, sicuramente le possibilità di andare in pensione prima sono diminuite. E poi c’è anche la questione del lavoro, spesso assente, precario e intermittente. Che produce un peggioramento delle possibilità di andare in pensione con l’elevatissimo numero di anni di versamenti che servono oggi per la stragrande maggioranza delle pensioni anticipate.
Che sia materia complessa ne abbiamo conferma anche dal fatto che anche il governo attuale che aveva promesso di alleggerire i parametri per andare in pensione non riesce ad esprimere una novità in questo campo. Andare in pensione in Italia è difficile perché il sistema deve cercare di essere sostenibile nel lungo termine, in un contesto di invecchiamento della popolazione, precarietà del lavoro e vincoli di bilancio pubblico.
Tutti gli analisti riconducono la difficoltà di gestire i fenomeni pensionistici in Italia a fattori ormai noti:
🧓 1. L’aumento dell’età pensionabile
L’età per la pensione di vecchiaia è attualmente 67 anni (aggiornata periodicamente in base all’aspettativa di vita). Per la pensione anticipata servono 41 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne (dato 2025).
Questo rende molto lunga la carriera lavorativa necessaria prima di poter smettere di lavorare.
📉 2. Sostenibilità del sistema previdenziale
L’Italia ha un sistema pensionistico a ripartizione: chi lavora oggi paga le pensioni di chi è già in pensione.
Con l’invecchiamento della popolazione (più pensionati e meno lavoratori giovani), questo sistema diventa sempre più difficile da sostenere economicamente.
📊 3. Riforme restrittive (es. Legge Fornero)
La Legge Fornero (2011) ha alzato drasticamente i requisiti per la pensione, introducendo limiti più rigidi per la pensione anticipata e indicizzando l’età pensionabile alla speranza di vita.
Le riforme successive (es. Quota 100, Quota 103) hanno introdotto alcune vie d’uscita, ma spesso sono temporanee o richiedono condizioni particolari.
💼 4. Lavori discontinui e precari
Molti giovani e meno giovani hanno carriere lavorative discontinue, con contratti a termine, part-time o periodi di disoccupazione.
Questo rende difficile accumulare i contributi necessari per accedere alla pensione in tempo utile.
💰 5. Pensioni contributive meno generose
Il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo puro (per chi ha iniziato a lavorare dal 1996) ha abbassato l’importo delle pensioni future.
Per ottenere una pensione dignitosa, servono quindi più anni di contributi e stipendi più alti.
In Europa l’età media si aggira attorno ai 65-67 anni, con tendenze al rialzo quasi ovunque è importante sottolineare che molti Paesi stanno rendendo l’età pensionabile flessibile, permettendo l’uscita anticipata con penalizzazioni, oppure più tardi con bonus. Il sistema contributivo è sempre più diffuso, quindi l’età legale conta meno rispetto ai contributi effettivamente versati.
Secondo molti è il passaggio a quota 103 con calcolo contributivo e con tetto all’importo massimo di pensione abbassato, con l’aggiunta di finestre più lunghe, il deterrente che rende la misura poco usata. Sarà anche vero che coloro che puntavano alla quota 103, che erano già pochi a dire il vero a prescindere da quella che tanti chiamano stretta, adesso la vedono penalizzante.
Ma è pur sempre vero che la quota 103 è nata per prendere il posto della quota 102 e ancora prima della quota 100. Era quest’ultima misura quella che davvero favoriva le uscite. Ma gli stessi che criticano oggi la quota 103 ritenendola penalizzante e poco fruibile, sono quelli che reputavano la quota 100 come il male assoluto, come una misura dannosa per le casse pubbliche e per la sostenibilità del sistema. E non è stato il governo Meloni a cancellare la misura.