Aprile 24

GreenPass e lavoro: facciamo chiarezza

E’ ormai entrato in operatività dopo un iter legislativo non privo di difficoltà il GreenPass. Innanzitutto è una forma giuridica forte quella adottata per approvarla, il Decreto Legge, che introduce misure urgenti, a partire dal 1° settembre 2021, per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, dell’università e dei trasporti. Al suo interno è regolato l’uso ed il funzionamento del GreenPass.
Dal 6 agosto quindi bisognerà presentare il green pass per accedere a ristoranti al chiuso, palestre, piscine, centri termali e altri luoghi dove c’è il rischio di assembramento, come cinema, teatri, sale da concerto, stadi o palazzetti sportivi, eventi, convegni e congressi.
I ministri Orlando e Speranza si sono seduti al tavolo con i sindacati per un confronto sui protocolli e le vaccinazioni nei luoghi di lavoro. L’obbligo di GreenPass si profila anche nei luoghi di lavoro? Ad oggi non dovrebbe essere così, perché Cgil, Cisl e Uil temono possa essere usato dai datori per licenziare o demansionare. Ed il tema è molto delicato, di sicuro i sindacato non firmeranno un accordo in questo senso con le aziende e sarà sicuramente necessario un intervento normativo specifico.
Il Green Pass nel mondo del lavoro è un tema in discussione dai tempi del decreto riaperture n. 52/2021 dell’aprile scorso. Da questa norma parte la lunga storia del passaporto vaccinale, o green pass, un documento di cui si stilavano solo i contorni generali, che avrebbero poi lasciato ai successivi decreti attuativi il compito di chiarirne la portata, l’utilizzo, la durata, e soprattutto gli impieghi dal punto di vista pratico. Il Parlamento Europeo con seduta plenaria ha approvato un Regolamento sul Digital Covid Certificate, che dal primo luglio di fatto coincide con il GreenPass adottato dall’Italia che permette di spostarsi liberamente tra i Paesi di area Schengen. Il nuovo Regolamento, come tutti quelli emessi da Parlamento Europeo, è vincolante ed applicabile direttamente in tutti gli Stati membri senza bisogno di decreti attuativi ma ciò non vieta, ed è questo su cui conta anche il governo italiano per regolare anche il mondo del lavoro, ai singoli Paesi di ampliare ulteriormente le applicazioni del certificato con leggi ad hoc.
Il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha mosso alcune critiche all’impianto del green pass come deliberato dal governo a luglio, segnalando e minacciando di sanzionare il mancato rispetto del principio di minimizzazione del trattamento (perché erano troppe le informazioni contenute nel certificato), l’indeterminatezza delle finalità del trattamento, la mancanza di indicazioni delle misure tecniche ed organizzative studiate per la protezione dei dati, in ossequio ai principi di data protection by design e by default, nonché la titolarità dei dati stessi e le autorizzazioni alla loro esibizione e controllo. Accolte le segnalazioni del Garante nella nuova formulazione sono state riscontrate ancora diverse discrepanze rispetto ai principi dettati dal Regolamento per la protezione dei dati personali egli esperti hanno dovuto riconsiderare l’impianto complessivo del GreenPass. Il Garante ha riconsiderato alcune sue posizioni ma ha ribadito che perdurava la mancanza della definizione delle finalità del trattamento, cioè per quali circostanze ed in quali occasioni fosse lecito richiedere il GreenPass, come invece richiede l’art. 5.1.b della normativa GDPR, che per il Garante era condizione base per garantire i diritti e le libertà dei cittadini e la propria privacy. Resta, per il Garante fermo il principio della proporzionalità e del bilanciamento tra i vari diritti ed esigenze in gioco, da un lato il diritto alla riservatezza ed alla protezione dei propri dati e la salute pubblica e collettiva dall’altro.
Proseguono i confronti tra il governo e le parti sociali sull’uso del GreenPass nei posti di lavoro con imprese e sindacati divisi sul tema ma concordi sull’idea di utilizzare la certificazione come ulteriore misura di sicurezza sul lavoro. I sindacati però chiedono che il governo si assuma la responsabilità con una legge e pongono diverse questioni, a partire da chi debba sostenere i costi dei tamponi che i lavoratori che non si vaccinano dovrebbero fare ogni due giorni per mantenere la validità del pass.