Musei italiani: in cerca di direttori o manager?

Museo muse Trento

Di fronte alle trasformazioni economiche, sociali, politiche e culturali intervenute negli ultimi decenni, anche i musei hanno dovuto rivedere missioni, obiettivi, strumenti e acquisire nuove competenze. Oggi i musei, oltre ad assicurare le tradizionali funzioni di salvaguardia, di ricerca, di interpretazione e comunicazione delle testimonianze culturali e naturali che raccolgono, hanno un ruolo attivo nella società, proiettando la propria azione all’esterno delle proprie mura, in stretto rapporto con i “paesaggi culturali” e con le comunità che li abitano e li animano. Come sottolineato nella Raccomandazione UNESCO del 2015 i musei devono diventare «spazi di trasmissione culturale, di dialogo interculturale, di apprendimento, di discussione e di formazione» e sono chiamati a svolgere un ruolo importante nell’educazione e a fornire un contributo importante alla coesione sociale e allo sviluppo sostenibile. Il museo è un’organizzazione complessa, formata da un insieme di risorse molto variegate (storico-artistiche, umane, finanziarie, digitali, relazionali, etc.) che vanno gestite in modo efficiente, cioè evitando gli sprechi e massimizzando il risultato ottenuto rispetto allo sforzo effettuato. Per fare questo, non solo è utile, ma risulta quanto mai necessario adottare un approccio manageriale, facendo ricorso, con la dovuta accortezza e la necessaria cautela, alle tecniche e le metodologie sviluppate per il mondo delle imprese al contesto ben più fragile e delicato dei musei e, più in generale, delle organizzazioni culturali. L’organizzazione degli istituti, la programmazione delle attività e la scelta degli operatori museali devono tener conto di questa nuova visione, decisamente orientata verso il pubblico e caratterizzata da un forte impegno sociale e allo stesso tempo fare i conti, almeno nel nostro Paese, con una contrazione delle risorse ad essi destinate e con una graduale riduzione delle responsabilità pubbliche nel settore culturale. Con il decentramento, la devoluzione, l’esternalizzazione di segmenti sempre più importanti di servizi museali, e talvolta dell’intera gestione degli istituti, a soggetti privati, è diventato più che mai necessario definire principi e regole basilari, obiettivi e standard di qualità condivisi dai responsabili degli istituti e dagli operatori del settore, siano essi funzionari pubblici, liberi professionisti, volontari. Diventa così necessario costruire un sistema di linee guida, norme, procedure e percorsi formativi e promuovendo in tutte le sedi la dignità e la responsabilità scientifica dei professionisti. L’obiettivo, alquanto ambizioso, è la creazione di un ‘sistema museo’, che dialoghi con gli altri professionisti della cultura, in una visione integrata del patrimonio culturale.
Il nuovo statuto dei musei, ai quali il DM 23 dicembre 2014, concernente “Organizzazione e funzionamento dei musei statali”, ha riconosciuto finalmente un’autonomia scientifica e organizzativa, tenendo conto dell’esigenza di organizzare i nuovi istituti per rispondere pienamente alle loro funzioni. Con ancora maggior precisione il DM 113 del 21 febbraio 2018 ha indicato tra i requisiti minimi, necessari a tutti i musei per ottenere l’accreditamento e l’inserimento nel Sistema museale nazionale, le seguenti figure: direttore del museo; conservatore/responsabile delle collezioni; responsabile dei servizi educativi; responsabile di pubbliche relazioni, marketing, fundraising e comunicazione; responsabile della sicurezza, responsabile delle procedure amministrative ed economico-finanziarie.

Ė noto il progressivo impoverimento degli organici dei musei (come di tutti gli istituti e luoghi della cultura), dovuto ai pensionamenti e all’impossibilità di assicurare il turnover. La recente indagine ISTAT (Short survey del 2018) ha registrato una riduzione di circa 7.000 operatori in due anni (45.000 nel 2015, 38.300 nel 2017), impiegati a vario titolo nei musei (con contratti a tempo indeterminato o determinato, operatori esterni, volontari). Inoltre solo nel 40,4% dei musei è stata confermata la presenza di un direttore. Sebbene questi dati non esauriscano tutte le possibili variabili nel paese, segnalano, altresì, un trend in continua discesa. Se nei musei statali la situazione non appare rosea, nonostante le recenti immissioni di giovani funzionari, le maggiori preoccupazioni riguardano i musei civici, che hanno risentito delle forti limitazioni alla spesa degli enti locali. In queste condizioni, le soluzioni più frequentemente adottate dalle amministrazioni sono state quelle di affidare la direzione dei musei a dirigenti/funzionari amministrativi o a tecnici con competenze diverse, non conformi alla natura delle collezioni, o di ricorrere all’esternalizzazione di servizi e prestazioni: quest’ultima modalità, che si sta estendendo in tutta Italia, e nel mondo intero, perché consente una maggiore flessibilità nell’organizzazione del personale e minori costi, nonostante l’annosa diatriba di pubblico v privato. Quel che preoccupa, tuttavia, è la scarsa consapevolezza dell’affido in concessione a società private (o a società in house) e per lunghi periodi, non solo dei servizi per il pubblico, ma anche compiti delicati di manutenzione e di restauro, e talvolta addirittura la totalità della gestione, compresa la programmazione culturale. Per garantire il rispetto delle esigenze proprie di un “servizio pubblico”, la conformità delle politiche alla missione propria del museo, la salvaguardia e la conservazione delle collezioni, è indispensabile concordare con precisione, nei contratti, obiettivi, procedure, requisiti professionali degli addetti, costruendo, così, un sistema di controllo efficace, che non si fondi soltanto su dati quantitativi, ma facendo sì che i concessionari si interfaccino con figure qualificate presenti stabilmente nei musei. Un’altra auspicabile soluzione si basa sulla condivisione di figure professionali fra più musei : sostenuta da tempo in alcune Regioni, questa possibilità viene ora rilanciata ai fini dell’accreditamento nel Sistema Museale Nazionale, qualora non sussistano le condizioni per assicurare la presenza delle figure essenziali in autonomia. Gli strumenti normativi per creare reti e sistemi territoriali o tematici non mancano, ma occorre superare le difficoltà di applicazione riscontrate finora e imputabili, non solo a diffidenze e gelosie campanilistiche, ma anche alla carenza di figure in grado di costruire e seguire il processo di aggregazione, quali possono essere i “manager culturali”.
Il problema, però, non è solo quello di far tornare i conti, cioè gestire i modo efficace ed efficiente le risorse finanziarie di un museo, quanto piuttosto quello di disporre delle competenze necessarie per gestire in modo altrettanto adeguato tutte le risorse di un’organizzazione culturale, a cominciare da quelle umane, che costituiscono il “capitale intellettuale” del museo, importante quanto il “capitale culturale”, costituito dalle sue collezioni permanenti. Oltre a quelle umane, si deve ormai pensare anche alle risorse digitali del museo, che costituiscono un asset formidabile per lo svolgimento delle attività di conservazione e di valorizzazione delle collezioni: la gestione di queste risorse è diventata sempre più critica e complessa, data la loro importanza e considerato l’incessante evoluzione che interessa il versante tecnologico, con il susseguirsi, senza soluzioni di continuità, di innovazioni destinate a influenzare il nostro modo di vivere e di relazionarci, alcune delle quali ancora non del tutto comprese per le loro innumerevoli capacità, come nel caso dell’Intelligenza Artificiale Generativa, che producono dei veri e propri cambi di paradigma ai quali anche i musei devono essere in grado di rispondere.

Si vede bene come le posizioni apicali del museo devono essere ricoperte da persone che siano in grado di dominare tanto le questioni di tipo culturale quanto le problematiche di tipo manageriale. In altri termini, la dicotomia tra direttori e manager culturali è solo apparente e va dunque superata nella consapevolezza che un direttore di un museo deve essere anche un manager e che, in quanto tale, deve essere in grado di dialogare in modo appropriato con tutti coloro che detengono le competenze che servono per gestire il proprio istituto, ovunque essi si trovino: all’interno del museo, qualora le condizioni lo rendano possibile, o altrimenti al di fuori di esso. Nel primo caso, cioè facendo leva sulle competenze interne, anche in Italia non mancano esperienze molto significative a cui riferirsi, come accade per il Museo Egizio o per il MUSE di Trento, istituti nei quali la figura del Direttore coesiste armonicamente e proficuamente con quella del responsabile gestionale del museo. Esistono anche casi contrari, come quello portato ai clamori della stampa nello scorso autunno, in cui la dicotomia delle due posizioni, hanno portato, l’ormai ex direttrice dell’ Accademia Carrara di Bergamo, alle dimissioni per “incompatibilità con le scelte gestionali” dell’istituzione bergamasca: al di là delle reali motivazioni che hanno portato a tale circostanza, non possiamo che augurare alle prossime e future gestioni duali di realtà museali, più o meno complesse, di trovare il punto di equilibrio tra strategie e obiettivi, concentrandosi sul proprio campo di pertinenza, così da trarne evidenti benefici per tutte le istituzioni culturali del sistema museale italiano. Poiché l’incremento della qualità della vita del territorio, non è un caso fortuito ed indiretto, ma, anzi, è un elemento centrale dell’agire museale. La differenza tra un manager e un manager culturale e creativo è la capacità di visione al di là delle strette regole della normale amministrazione aziendale; è necessario che si abbia ben presente quali sono le regole specifiche che rendono la cultura un ‘bene economico’ a cui tutti possono attingere come fonte di benessere e reciprocità.

Foto di copertina: Il Museo di Trento MUSE

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