Patto di prova: non può essere mai retroattivo

La legge

Intervento della Corte di Cassazione sul patto di prova. Il patto di prova è una clausola che può essere inserita nel contratto di lavoro, attraverso la quale datore di lavoro e lavoratore si accordano per sottoporre il rapporto di lavoro a un periodo di prova, durante il quale ciascuna delle parti può valutare la convenienza della prosecuzione del rapporto. Le finalità del patto di prova hanno duplice aspetto: per il datore di lavoro si da modo di verificare l’idoneità del lavoratore alle mansioni; per il lavoratore si da modo di valutare le condizioni di lavoro, l’ambiente, e la coerenza delle mansioni con le proprie aspettative. Il Patto deve essere stipulato per iscritto prima o contestualmente all’inizio del rapporto di lavoro e la durata massima è generalmente stabilita dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL). In assenza, la giurisprudenza fissa limiti ragionevoli (6 mesi per i Quadri). Durante il periodo di prova, entrambe le parti possono recedere liberamente, senza obbligo di preavviso né motivazione. Nel caso sottoposto alla Corte di Cassazione la Corte d’appello aveva respinto le domande di impugnazione di un licenziamento, accertando che il rapporto di lavoro si era risolto, per dimissioni o per recesso datoriale, ma comunque in pendenza di un patto di prova e pertanto in regime di libera recedibilità reciproca. La cassazione ha ritenuto errata al riguardo la decisione dei giudici di merito per non avere dato rilievo al fatto, dedotto in giudizio dal lavoratore, che il patto di prova prodotto in giudizio dalla società era privo della sottoscrizione di quest’ultima e quindi nullo ab origine. E seppure il fatto di averlo la società prodotto in giudizio sottoscritto dal dipendente possa ritenersi equipollente della sottoscrizione mancata, il relativo perfezionamento si produce solo da quel momento e non retroagisce all’inizio del rapporto. La conseguenza è che il recesso, dimissioni o licenziamento che sia, è da ritenersi avvenuto in regime vincolato.
Corte di cassazione, ordinanza 3 aprile 2025 n. 8849