Smart working: aumenta il numero di ore e aziende che lo utilizzano
Non tutti i lavori da remoto sono smart e non tutti i lavori smart sono svolti da remoto.
E’ questa una differenza importante che in apertura di questo articolo va chiarita: “smart working” è un neologismo che descrive un modo intelligente, e quindi efficiente, di pianificare e portare a termine le attività lavorative, definendo in autonomia il tempo, stando in azienda o in un altro luogo dove gli obiettivi definiti e la libertà di gestione in termini di tempi e luoghi domina l’accordo tra azienda e lavoratore. Chi invece lavora da remoto utilizzando sistemi di verifica dell’orario di inizio e fine lavoro tramite applicazioni non sta lavorando in modo “smart” ma ha solo cambiato scrivania.
La differenza non la fa dunque il dove si lavora, ma il modo in cui si lavora.
I dati più recenti dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano indicano che, nel 2025, sono circa 3,57 milioni i lavoratori in Italia che lavorano almeno in parte da remoto (smart working).
Questo dato è in lieve crescita (+0,6%) rispetto al 2024, quando gli smart worker erano circa 3,55 milioni. Suddivisi per settore, il lavoro agile è diffuso in particolare nelle imprese con più di 150 dipendenti si stima sisno quasi 2 milioni di lavoratori. Nella pubblica Amministrazione (PA) sono circa 555.000 lavoratori (pari al 17% dei dipendenti PA), con la crescita più significativa.
Risultano in calo, con circa 520.000 lavoratori, le PMI.
Ben diversa è la situazione nel resto dell’Europa, il lavoro agile in Europa presenta un quadro molto diverso rispetto all’Italia, che si posiziona agli ultimi posti per adozione dello smart working. I dati Eurostat (relativi principalmente al 2024 e anni precedenti) evidenziano un marcato divario, la media UE è Circa 22,6% contro il circa 10,3% in Italia. In sostanza, la percentuale di lavoratori che lavorano da casa (anche solo occasionalmente) è più del doppio nella media europea rispetto all’Italia. I Paesi con maggiore adozione sono quelli nordici, con la Finlandia in testa alla classifica, con percentuali che superano il 28% (riferito ai lavoratori che svolgono almeno la metà del monte ore settimanale da casa), seguono Irlanda e Paesi Bassi con percentuali molto alte, spesso oltre il 20%.
Quali prospettive aspettarsi? Il lavoro agile in Italia si sta consolidando, soprattutto nelle grandi imprese e nella PA, l’adozione complessiva rimane molto più bassa rispetto alla media dell’Unione Europea, dove il fenomeno è più diffuso e strutturato. Secondo Carlotta Silvestrini, attenta consulente di strategia intervistata dal Sole 24 Ore, elevando gli asset intangibili (la reputazione e l’identità del brand, il capitale umano, la gestione proficua del dato e la capacità di innovare) a leva fondamentale per la crescita aziendale. Il lavoro agile, che è la più coerente definizione di smart working, è uno strumento evoluto al pari di un macchinario di ultima generazione e se ne conosco le dinamiche, lo posso usare con successo. Diversamente, trascorrerò le giornate a cercare di ottenere gli stessi risultati di prima e con metodi che in quel contesto non funzionano più. Arriviamo da un secolo di cultura del lavoro padronale, dove l’ultimo che esce dall’ufficio è ben visto, a prescindere dal risultato portato: la stessa persona, da casa e dove non è controllata da nessuno, come potrà improvvisamente cambiare il modo di approcciare le attività che le sono affidate ed essere produttiva?
L’adozione relativamente bassa dello smart working in Italia, specialmente se confrontata con la media europea (che è più del doppio), è dovuta a un mix di fattori culturali, strutturali e normativi, che rallentano la piena implementazione del lavoro agile.
Le principali cause di questo divario sono legate alla mentalità del “presenzialismo” in molte PMI e in parte della Pubblica Amministrazione (PA), persiste una cultura basata sul controllo visivo e sulla convinzione che la produttività sia direttamente correlata alla presenza fisica in ufficio. Questo scetticismo da parte di molti dirigenti e imprenditori è un freno significativo all’adozione mentre nel middle manager che ha da sempre doti di felssibiltà ed adattamento maggiori l’uso dello smart working è più accettato e gestito anche per i collaboratori.
Le Piccole e Medie Imprese inoltre faticano maggiormente ad adottare lo smart working rispetto alle grandi aziende. Spesso manca la maturità organizzativa per gestire i dipendenti per obiettivi anziché per orario, o sono meno diffusi strumenti e policy strutturate. C’è anche un tema normativo, nonostante i passi avanti, la normativa italiana sul lavoro agile è percepita come meno snella rispetto ad altri Paesi. Il ritorno alla regolamentazione ordinaria (Legge n. 81/2017), con l’eliminazione delle semplificazioni post-pandemia per alcune categorie, ha ridotto l’utilizzo dello strumento, in particolare nelle PMI. Nel settore pubblico anche se sta aumentando l’adozione, è storicamente un settore più lento nell’adattarsi, a causa di resistenze interne, complessità burocratiche e la necessità di rivedere i Piani Organizzativi del Lavoro Agile (POLA).
Anche la diffusone della tecnologia (storicamente bassa in Italia) è un ulteriore freno, in alcune realtà (soprattutto nel Sud Italia e nelle aziende più piccole) possono persistere carenze infrastrutturali (es. connettività Internet) o lacune nelle competenze digitali necessarie per una gestione efficace del lavoro da remoto.
Un tema molto delicato è l’adattamento del lavoro agile agli spazi fisici disponibili, le case non sempre offrono spazi adeguati per il lavoro, il che può portare a difficoltà di concentrazione e una sovrapposizione tra vita privata e lavorativa, riducendo l’attrattiva del lavoro agile per alcuni dipendenti.
Quese difficoltà, su cui anche a livelllo politico si sta lavorando, non sminuisce i vantaggi nel migliorare l’efficienza, la potenziale crescita di produttività e l’effetto attrattivo del lavoro agile sulle nuove generazioni in azienda che è utile per il raggiungimento del pieno potenziale del lavoro.

Antonio Votino direttore responsabile Infoquadri
