Ottobre 24

Domenico De Masi: Per il Reddito di Cittadinanza ritocchi, non rivoluzione

Pubblichiamo parte di un articolo del professor Domenico De Masi pubblicato su Linkedin.

Nei 36 Paesi dell’OCSE l’11% della popolazione vive in povertà relativa; in Italia la percentuale è del 15% e il 7% vive in povertà assoluta. Varando il Reddito di Cittadinanza nel marzo 2019, il nostro Paese è stato l’ultimo ad avviare questa forma di welfare e il penultimo per quanto riguarda l’ammontare economico del sussidio. Il REI adottato due anni prima contemplava una procedura molto più complicata, una platea e una somma molto minori.
Il primo gennaio 2019 i poveri assoluti in Italia erano circa 5 milioni così composti: circa 3 milioni erano minori, vecchi e invalidi incapaci di lavorare; circa 1 milione erano lavoratori che guadagnavano così poco da restare poveri assoluti; circa 1 milione erano disoccupati occupabili ma con scarse capacità lavorative. Come si vede, nella galassia della povertà convivono cittadini occupabili e inoccupabili per cui, al contrario di quanto si è sentito dire, le politiche attive e i sussidi, intrecciati tra loro, sono difficilmente separabili.
Entro luglio 2021 i nuclei familiari che percepivano mediamente un importo mensile di 559 euro erano 1.655.343, pari a 3.550.342 persone. Il tasso di copertura delle famiglie in povertà assoluta da parte del RdC era pari al 44%; quasi il 60% dei percettori poveri è riuscito a oltrepassare la soglia di povertà assoluta.
Ma il RdC, oltre al beneficio economico, prevede la partecipazione a due tipi di attività concordate con il nucleo familiare: quelle promosse dai servizi sociali per consentire ai poveri di superare il disagio sociale; quelle organizzate dai Centri per l’impiego e dai navigator per potenziare le competenze professionali. Su 1 milione di poveri disoccupati, 352.068 (pari al 34%) sono diventati beneficiari di patti per il lavoro grazie all’opera dei 2.633 navigator.
Preceduto, accompagnato e seguito da un’intensa campagna denigratoria – sfociata nella richiesta, da parte di “Italia Viva”, di un referendum per la sua abolizione – il RdC ha avuto 34 mesi di collaudo risultando, secondo il “Rapporto Caritas” (487 pagine fitte di tabelle e grafici), “un insostituibile strumento di promozione umana”.
Lo stesso “Rapporto Caritas” che ha monitorato scrupolosamente i primi 32 mesi di questa inevitabile sperimentazione, sostiene che non occorre rivoluzionare l’attuale RdC ma soltanto apportarvi un insieme limitato d’interventi mirati per sanarne puntualmente le criticità evidenziate. Così, ad esempio, è assurdo che, per ottenere il RdC, agli stranieri siano necessari 10 anni di residenza in Italia; occorre innalzare le soglie economiche al Nord; occorre abbassare le soglie economiche delle famiglie di piccole dimensioni; innalzare in tutta Italia le soglie del patrimonio immobiliare; migliorare gli strumenti di misurazione delle condizioni economiche delle famiglie; mettere a punto il metodo per intercettare i falsi poveri e per remunerare meglio i poveri veri; introdurre una scala di equivalenza non discriminatoria verso le famiglie più numerose; migliorare gli incentivi al lavoro per chi è occupabile; progettare interventi adatti per chi non è occupabile.